Negli ultimi anni della mia carriera ho avuto la possibilità e la fortuna di lavorare come chirurgo della mano in alcuni Paesi in via di sviluppo dell’Africa, in Kenya, Ghana, Benin, Burquina Faso.
Le persone trattate durante le missioni umanitarie di chirurgia della mano sono in gran parte bambini, o giovani adulti vittime di malformazioni congenite, paralisi nervose, ustioni o guerre.
In questi paesi gli ospedali sono in grado di ricevere e far fronte alle richieste di chirurghi, anestesisti, ergoterapisti ed infermieri auto-finanaziati. Il personale locale si occupa di radunare i pazienti con patologie dell’arto superiore che riceveranno una visita dal team di chirurghi della mano presente per ogni missione.
Generalmente le missioni durano 1 o 2 settimane e fin da subito si inizia a lavorare. I pazienti preselezionati vengono visitati e si decide chi potrà essere operato oppure no, in base ai criteri di gravità. E non è facile in quanto i casi che si presentano sono tutti gravi e moltissimi avrebbero bisogno di essere presi in carico ma il tempo è ridotto.
É molto diverso operare in Paesi in via di sviluppo, diverso é il clima (difficilmente si trova aria condizionata in sala operatoria), diverse le patologie (spesso sono esiti di traumi e ustioni che non sono stati trattati correttamente in acuto), diversa la risposta dell’ organismo ai medicinali (ci sono studi in corso che evidenziano differenze anche nella guarigione dopo chirurgia della popolazione di colore, ad esempio), diversi i tempi operatori.
L’esperienza delle missioni umanitarie arricchisce ed insegna. Quello che noi facciamo è solo una piccola goccia nell’oceano, e anche se il nostro intervento renderà migliore solo qualche piccola vita nell’immensa Africa, questo basta per poter partire di nuovo.